Autunno sul monte Puro

Una breve escursione in mountain bike sul monte Puro, situato poco distante da Fabriano e a confine tra Marche ed Umbria, è una delle montagne preferite dai bikers locali. Saliamo da Cancelli per una ripidissima carrareccia, che ci porterà ai prati sommitali di monte Rogedano, pedalando in salita si raggiunge monte Puro e lo si aggira su un single trak spettacolare e divertente. Qui si vedono i colori autunnali dell’Appennino, molto belli sono i panorami che si susseguono e si possono fare delle belle fotografie. Scendiamo a valle su una delle classiche discese della zona, il sentiero dei Carbonai, questo è un single trak veloce e scorrevole che non delude mai chi lo percorre e il divertimento è assicurato, giunti a valle si ritorna a casa “purtroppo” su asfalto. Il tempo a volte è tiranno, e non abbiamo occasione di tornare percorrendo qualche sentiero, ma ci rifaremo.

video http://youtu.be/JS0L-YlwcCo

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Pasubio Carega Zugna

 

Quarto episodio di dedicato a: al maestro di portage.

Questa volta siamo andati a Rovereto, mi chiama un’amico e mi lancia l’idea di andare a fare il giro del Pasubio Carega e dello Zugna in mountain bike, è un giro mitico e veramente faticoso, non si può rinunciare, l’idea è troppo invitante, si parte. Con noi ci sono due ragazzi di Roma che non conosco, ma ok più siamo e meglio è. Vengono prenotati i rifugi e contattiamo un local che conosciamo, appuntamento a Rovereto. Purtroppo il traffico ci rallenta di almeno due ore e così partiamo per il giro con 40 gradi in pieno pomeriggio, destinazione rifugio Lancia, la nostra prima tappa. Lungo la strada i due romani ci abbandonano e si fanno trasportare in macchina fino al Lancia, per loro i 1600 metri di dislivello a “freddo” sono stati troppo pesanti, arriviamo al rifugio scortati dal nostro amico, gli altri sono già docciati, noi ci sistemiamo in camera e andiamo a cena. La sera si cerca una strada alternativa per evitare un po di salita, gli altri due non se la sentono di fare i 2500 metri del giorno dopo, andiamo a dormire e la sveglia arriva sicuramente troppo presto. Partiamo e dopo poco la strada sale e si smette di pedalare e si spinge, iniziamo bene. Arrivati in quota ci aspetta uno spettacolare single trak lungo e interamente pedalabile, che panorami da quassù, non c’ero mai stato, per fortuna che siamo venuti. Arriviamo al rifugio Papa, e iniziamo a scendere, prima su strada bianca e poi su sentiero, il fresco della quota se ne sta andando rapidamente, sostituito dall’afa. Ora si risale verso cima Carega, è caldo e la fatica si fa sentire, la marcia è lenta e arriviamo al rifugio Battisti tardi, dobbiamo sbrigarci la nostra meta è lontana. Beviamo qualcosa e ripartiamo, decidiamo di fare un taglio all’itinerario previsto per aiutare uno dei due nostri ospiti capitolini che era molto stanco. Eviteremo molti chilometri di strada e circa 300 metri di dislivello, ma comunque dobbiamo fare almeno 600 metri di dislivello con la bici sulle spalle, si parte il portage ci aspetta. Arriviamo in cima al passo stanchi ma il panorama ripaga la fatica fatta, parto per primo in discesa mi segue il mi amico Fabio e dei due romani non c’è traccia, arriviamo al rifugio Scalorbi e quando riprendiamo la salita per cima Carega vediamo i due che imboccano la discesa, eravamo d’accordo che se non avessero ritenuto di fare il Carega oggi sarebbero rimasti a dormire allo Scalorbi, sarà così. Noi saliamo, e ci aspettano altri 500 metri d+ per arrivare al rifugio Fraccaroli. La strada sarebbe anche pedalabile se non fossimo così stanchi, ma non questa volta, pedaliamo poco, ma spingiamo molto e carichiamo anche la bici in spalla. Alle sette d sera arriviamo alla meta di giornata, da quassù il panorama è da restare senza fiato, si veda la pianura Padana, il Garda e le Dolomiti, ma questi sono anche luoghi di estrema sofferenza, ci sono ancora le trincee della grande guerra a ricordarci la follia umana. Ceniamo e dopo un po andiamo a letto, l’ indomani aspettiamo il resto della squadra, che arriva verso le nove, foto di rito e via di corsa, ci aspetta una lunga discesa fino a Rovereto, però dopo un po di strada , la discesa si trasforma magicamente in salita, e si pedala al 20%. Poi si carica in spalla la mountain bike per arrivare a cima Zugna, anche qui si pedala sui sentieri costruiti per le trincee della guerra, la follia umana unita all’ingegneria, che sensazioni, che spettacolo e che tristezza. Oramai dalla vetta ci aspetta solo discesa, s’inizia con carrareccia, proseguiamo su sentiero sempre più tecnico, fino a diventare quasi free ride , ma che divertimento mai fatto un sentiero così. Almeno tre chilometri di sassi, gradoni e scogli in sequenza da superare, le nostre mountain bike sono messe a dura prova e anche la nostra resistenza fisica. Alla fine arriviamo alla strada asfaltata, i due amici ci aspetteranno qui, io e fabio pedaliamo i cinque chilometri che ci separano da Rovereto e ritorniamo con la macchina, breve spuntino, carichiamo tutto e via di corsa per ritornare a casa. Almeno questa volta il traffico è scarso e il viaggio scorre bene, ritornando abbiamo ricordato i momenti di questa avventura, il giro è stato duro, anche di più, ma bello direi da rifare.

video http://youtu.be/e5yVcmUilU0

Altopiano dello Sciliar

Terzo capitolo di dedicato a: maestro di portage. In questa occasione si gira sull’Altopiano dello Sciliar, partenza da Fiè risalita meccanizzata fino all’altopiano e poi si va. Pedaliamo con la splendida cornice del Sassopiatto e Sassolungo, che ci fanno compagnia per tutto il trasferimento sull’altopiano, giungiamo così al passo Duron e iniziamo a salire sul serio. Ora la salita si fa impegnativa e lo Sciliar non risparmia fatica e panorami mozzafiato, che posto! Un paio di anni fa eravamo venuti in questa parte di Dolomiti, ma da lontano questa piccola catena montuosa che ora sto scalando, non mi era sembrata così aspra e allo stesso tempo imperiosa. E’ un mix di roccia rossastra e prati verdi, poi cambia all’improvviso, roccia grigia e ghiaioni, poi cambia ancora pareti e guglie, meraviglia della natura, natura che in questi luoghi da il meglio di se e noi piccoli esseri che scaliamo queste montagne, come non rimanere incantati. Non penso alla fatica e con la mountain bike in spalla arrivo al termine della salita, si apre di fronte a me un bell’altipiano erboso che mi chiama, ed io non lo faccio aspettare, si parte per una lunga ma non ripida discesa, che però finisce e si riprende a salire. Rifugio Bolzano, è al mia meta e si intravede da lontano, a volte mi chiedo chi è stato così coraggioso da costruire un rifugio di queste dimensioni quassù. Questi sono stati anche luoghi di aspre battaglie della grande guerra, vedo di fronte a me passare le scene di dolore e tristezza, isolamento e freddo, che follia. Ma adesso è ora di scendere, e da quanto ne so il sentiero che mi accingo a percorrere, dovrebbe essere uno di quelli che non si dimenticano facilmente. Inizio la discesa, veloce su prato erboso, poi un sentiero tutto curve e traverse in legno, bello e panoramico con alcuni punti tecnici. Poi inizia il bosco, e all’improvviso iniziano le famose passerelle in legno di cui avevo letto, se il sentiero era tosto, queste lo sono ancora di più, ma che bello però. Si percorrono queste passerelle all’interno di una stretta e alta gola rocciosa, sono state costruite dai contadini che portavano il bestiame al pascolo, passano sopra il fiume e sono incastrate nella roccia. Anche questa un’opera titanica, ma fatta dall’uomo senza mezzi meccanici, incredibile. Ora devio dal sentiero per imboccarne un’altro che mi riporterà verso Fiè, anche questo è tecnico, stretto, veloce, trialistico, non ho più aggettivi, ma spettacolare. Arrivo così al laghetto di Fiè, li ci sono molti turisti che si stanno rilassando, io imbocco l’ultimo single trak e arrivo all’asfalto, ora è tempo che mi rilassi un po anche io, alla prossima.

video   http://youtu.be/Bf2hjyIHGyU

Val Monzoni

Secondo capitolo della serie: “dedicato a”. Al maestro di portage naturalmente, si va in Val Monzoni traversa della Val San Nicolò. Si sale subito prima su asfalto e poi su sterrato, passate le prime malghe non si pedala più e si inizia a spingere e poi un po di portage. Mi fermo ad un rifugio e chiedo informazioni, la rifugista mi dice che il sentiero che avevo in mente di fare non è adatto alla mountain bike, così cambio itinerario. Giunto al passo, il tempo peggiora e inizio a scendere per il sentiero suggerito, ma ben presto la traccia sparisce e procedo free ride sui prati, forse il sentiero che avevo in mente, era segnalato. Non mi perdo d’animo, consulto la cartina e continuo a scendere dentro il letto di un ruscello, poi ritrovo il sentiero e scendo in direzione Moena. Inizia un single trak molto divertente e scorrevole, scendo velocemente in mezzo ai pini, arrivo alla strada di fondovalle. Nei pressi di Moena salgo sulla ciclabile della Val di Fassa, e mi dirigo verso Pozza lentamente è presto avevo programmato di rientrare più tardi, mi aspetta il pranzo di Ferragosto. Cosa mi rimarrà di questo giro? I panorami stupendi della Val Monzoni, il passo San Pellegrino visto da lontano e meta della prossima uscita dolomitica in zona, la rifugista che mi ha deviato dal mio itinerario programmato, ma che secondo me era fattibile e l’atmosfera magica che solo le Dolomiti regalano. Dimenticavo la Cima 11, davanti è una parete di roccia impressionante, vista da dietro un prato erboso che arriva a tremila metri, incredibile.

 

video http://youtu.be/7ND-y_OVsfo

Il Catinaccio

Dedicato al maestro di portage, questo giro dolomitico sui sentieri del Rosengarten o Catinaccio è uno degli itinerari più esaltanti che abbia mai fatto. Si parte da Pozza di Fassa per salire al rifugio Gardeccia, poi da li si inizia la traversata che passa sotto il massiccio del Rosengarten, con un po di bici a spalla e un po di pedalato. Passare sotto queste enormi pareti ti fa sentire proprio piccolo, ma l’atmosfera che si “respira”, è incredibile, come il viso degli escursionisti che m’ incrociavano sui sentieri con la bici in spalla, il commento più comune era: ma come fai. Con questi panorami anche la fatica non è così fastidiosa, e il sole che ti riscalda anche se arrivi ai 2500 metri è un solletico. Questo itinerario non è molto lungo circa una trentina di kilometri, ma si attraversano molti tipi di paesaggi diversi, bosco, prati roccia, ghiaioni, bisogna adattarsi al cambiamento. Un’esperienza insomma, da ripetere e per chi non è mai stato in mountain bike in questi luoghi, un suggerimento per il fururo.

video http://youtu.be/lwvPMXaclf0

Porcarella sentiero 109

Il nome Porcarella fa un po ridere, ma invece è una località che offre molto alla mountain bike. Conosco bene questa zona, così da Fabriano salgo i 700 metri di dislivello che mi portano a Poggio San Romualdo e inizio a dirigermi verso il paese di Castelletta. Non so perché questo altipiano venga chiamato porcarella, ma è mia intenzione scoprirlo. Per oggi mi accontenterò di percorrere uno dei sentieri della zona, il mitico 109 che a me piace sempre di più ogni volta che ci vado. La lunga salita d’asfalto che mi porta in quota è scorrevole e in un’ora arrivo al valico, da qui inizia lo sterrato che mi accompagnerà al sentiero. Il single inizia su un verde prato erboso , ma ben presto si inizia a scendere e la strada si fa più tecnica e divertente, c’è roccia e erba, il bosco è al massimo del verde e mi godo il venticello che oggi mi accompagna. A circa due terzi del sentiero si inizia a vedere il borgo di Castelletta, che spettacolo. Da quassù si domina tutta la Vallesina e si fila via che è un piacere. Arrivo alla fine del sentiero e si ricomincia a salire su asfalto, ma arrivati di nuovo al valico, si scende di nuovo verso il fondovalle su un sentierino poco evidente che taglia tutti i tornanti della strada asfaltata. E’ una lunga discesa a tratti anche veloce, così alla fine arrivo presso il paese di Valtreara e ora non mi resta che prendere la strada per Fabriano. Anche oggi fortunatamente un bel giro e divertimento ai massimi livelli, il sole ci ha scaldato e questa primavera uggiosa ci ha concesso una tregua. ben vengano queste giornate così.

 

video http://youtu.be/tdyu1FX59rs

Fosso di Paterno

Ho percorso molte volte questo giro, mai l’ho trovato in condizioni così pessime. E’ un single trak molto divertente, ma non si può andare se è molto piovuto. In questa pazza primavera abbiamo deciso di andare a Paterno per monte Alto. Siamo in tre bikers e non ci lasciamo sfuggire una delle discese più divertenti e tecniche della zona. Saliamo a monte Alto per un lungo single che è interamente pedalabile, ma è duro veramente, ci sono un paio di rampe che tolgono il fiato. Oggi con noi c’è un ragazzo che conosciamo da anni ma non eravamo mai usciti in mountain bike insieme, essendo un ex crossista non abbiamo timore di fargli percorrere il fosso di Paterno. Dopo la salita si inizia a scendere prima su un prato erboso e poi ci infiliamo nel fosso. La strada è tranquilla, finché non arriviamo al toboga che è pieno d’acqua, poco male dico io, dopo dovrebbe essere meglio. Mai parole furono più sbagliate, si apre davanti a noi un fiume in piena che ha anche scavato il fosso più di quello che è solitamente. Senza paura ci infiliamo dentro, ma oggi non si sta quasi in sella e alcuni punti scendiamo e trasportiamo la bici a mano, ma è questo il vero senso di libertà della bici e noi con le scarpe piene d’acqua ci divertiamo come bambini. Così si arriva al paese di Paterno e dulcis in fundo adesso ci aspetta una bella salita per arrivare ad Attiggio e poi pure cinque kilometri d’asfalto fino a Fabriano. A presto.

video http://youtu.be/_40ZE88JaIM

Un giro da quattro ore

Come tante persone anche io a volte ho le giornate piene, così se ho l’occasione mi ritaglio uno spazio per andare in mountain bike. Conosco i miei tempi su alcuni giri definiti “classici” e oggi ho deciso di andare a monte Cucco. Il giro della faggeta di Val di Ranco è un itinerario da quattro ore e così salto in bici e parto.

Il tempo è buono, cosa rara in questo maggio molto irlandese e mi godo il caldo di questa primavera. Pedalo verso Melano, un bel paesotto in cima ad un colle e arrivo in un’ora alle pendici del Cucco. Ora mi aspettano i classici nove kilometri di salita su strada bianca, oggi credo che non mi dispiacerà pedalare sotto il sole, anzi mi avvio con calma ma senza perdere tempo. Salgo salgo salgo e arrivo al valico di monte Testagrossa, chissà chi avrà dato il nome a questa cima, a volte me lo chiedo. Ripensandoci alla periferia di Fabriano c’è monte Coccodrillo, è meglio non farsi queste domande. Pedalo, il panorama sul lato sud del Cucco è sempre spettacolare, salendo l’ultimo tratto di strada per Val di Ranco ho anche la visuale sulla valle di Gualdo Tadino. Con il sole e questo verde primaverile ho voglia di fermarmi a guardare il panorama, ma questo è un giro da quattro ore e devo rispettare la tabella di marcia. Entro nella valle, finisce il tratto asfaltato e inizia la faggeta, che bello questo posto, ogni volta che ci vengo mi piace sempre di più, ed è solo a venti kilometri da casa mia. Il sentiero che percorro è un continuo su e giù, non è difficile, ma bisogna stare attenti ci sono dei tratti con molte radici e pietre, però è veramente divertente. Ad un certo punto la pendenza si accentua e si arriva in fondo alla valle del Rio Freddo, da qui si risale a Passo Porraia e giù di nuovo percorrendo una velocissima carrareccia. Anche se siamo passati dall’altro lato di monte Cucco, i panorami rimangono sempre molto belli e purtroppo guardarli a questa velocità è pericoloso, meglio fermarsi e rischiare di meno. Arrivo al borgo di Piaggiasecca, è stato ristrutturato da pochi anni, adesso è veramente bello, continuo a scendere e arrivo all’asfalto. Ci sarebbe una strada bianca da fare, ma è sempre il giro da quattro ore e mestamente mi avvio verso casa su asfalto, passo tutti i paesini della vallata e arrivo sulla statale. Ora non resta che sbrigarmi, con il ricordo in testa di un giro spettacolare ma dai tempi dettati, sembra quasi una gara di enduro, ci mancano solo i controlli.

video http://youtu.be/eiKEK0ndLKs

Salita alle eliche di Fossato di Vico

C’è il sole, si parte per una nuova avventura, percorrere il nuovo sentiero appena aperto da amici. Me ne avevano parlato più volte e ormai la curiosità era tanta che aspettavo l’occasione giusta per andare a pedalarlo per la prima volta. Parto da Fabriano direzione vecchio valico di Fossato, salgo su asfalto, il sole mi scalda è sereno le condizioni sono ottimali per un bel giro in mountain bike.

Arrivo con calma al valico, sono solo oggi e posso scegliere il ritmo di pedalata, inizio a salire verso le eliche. Questa strada è una delle mie preferite perchè  ti fa immergere in mezzo al bosco più verde della zona e ti da un senso di rilassamento totale. Salita e ancora salita ma anche silenzio e prati verdi, arrivo alle eliche inizio a scendere. Mi fermo per indossare le protezioni e riparto alla ricerca dell’inizio del sentiero.

Ricordandomi le indicazioni del Tont ci dovrebbe essere un segno biancorosso dei CAI su una pietra, effettivamente c’è ma non è molto visibile, comunque le indicazioni fornitemi sono precise e ritrovo l’inizio. Dopo pochi metri si scende e si inizia a spingere la bici per scavalcare un fosso e risalire dall’altra parte, mi piace  questo trail, è come intendo io andare in mountain bike, se non c’è un po di spingismo che giro è? Risalito il fossetto si inizia a pedalare, è stretto ma si procede bene, alcuni punti sono veramente stretti e preferisco scendere dalla bici, sono solo e non ho voglia di finire giù per la scarpata. Nel complesso è quasi tutto fattibile e sono nel bel mezzo della natura, veramente bello il bosco di querce.

Si scende e si risale, si scende e si risale, è tutto un susseguirsi di passaggi tecnici e roccette, ci vogliono calma e concentrazione, così arrivo alla fine del sentiero, è passato in fretta evidentemente mi sono divertito e mi sono distaccato per un attimo dal tempo, bello. Arrivo su un tratto di strada che avevo percorso quest’ inverno, adesso mi ricordo, mi fermo per un attimo a fare una foto e a guardarmi un po intorno, mi godo il panorama.

Riprendo la discesa, ora si fila su carrareccia a tutto gas, ci sono dei drop naturali e me li saltello tutti, in men che non si dica sono a Cancelli, la discesa è finita e ho il sorriso delle migliori occasioni e quella sensazione di aver passato una bella mezzoretta distaccato dalla realtà, ma allo stesso tempo immerso nella realtà più pura della natura selvaggia delle montagne marchigiane. Torno a casa con calma, anche oggi un bel giretto.

video  http://youtu.be/plWAgMuwrbU

Attiggio flow

Come ogni uscita in mountain bike che si rispetti, dopo una lunga salita c’è sempre una discesa. Magari se la discesa è lunga, lo sforzo fatto in salita è più facile da digerire.

Così decidiamo di scendere per la strada chiamata Attiggio flow, questa è una delle mie discese preferite non perché sia impegnativa, anzi. Questa strada è tranquilla veloce e scorrevole, da qui il nome flow ed è anche abbastanza lunga che dopo averla percorsa non si sente il bisogno di risalire in quota per scendere di nuovo. Oggi è abbastanza caldo, il sole di questa primavera c’ illumina e il terreno non è così fradicio d’acqua da far rimpiangere l’estate. Saliamo verso Monte Fano e imbocchiamo il sentiero 100, il ritmo è buono e ci divertiamo a fare su e giù per gli strappi del sentiero, in breve siamo all’attacco di Attiggio flow.

Indossiamo le protezioni e via si parte a tutta velocità, sotto le nostre ruote si alternano veloci rettilinei e curve con le sponde, piccoli gradini di roccia e tanta breccia caratteristica di questa zona. Oramai siamo giunti alla fine della strada, a me è piaciuta come sempre, anche gli altri sono soddisfatti e ci cambiamo pronti per il ritorno.

Anche oggi è andata.